La doppia faccia del protezionismo, Bruxelles contro i prezzi sleali, ma il mercato nero – digitale – parallelo dilaga
Di Enrico Pellegrini:
In questi mesi a Bruxelles è in corso un procedimento tecnico, dal nome freddo e burocratico: riesame intermedio parziale delle misure antidumping sulle importazioni di stoviglie e articoli da cucina in ceramica e porcellana dalla Cina (procedura R831).
Dietro questa sigla si nasconde però un tema molto concreto:
il prezzo dei piatti, tazze, servizi da tavola che tutti compriamo nei negozi della grande distribuzione;
il destino di migliaia di lavoratori impiegati nei magazzini, nei punti vendita, nella logistica;
l’equilibrio tra la tutela dell’industria europea e il potere d’acquisto delle famiglie.
Un primario operatore della distribuzione organizzata non alimentare – uno dei maggiori player europei del settore, con centinaia di punti vendita e migliaia di addetti tra diretti e indotto – ha scelto di intervenire in questa procedura, assistito dallo Studio Legale Pellegrini, per far valere le proprie ragioni davanti alla Commissione europea.
Cosa sono i dazi antidumping
In sintesi:
L’UE applica un dazio “normale” (MFN) alle importazioni; è la tariffa doganale standard, uguale per tutti i paesi con cui non ci sono accordi preferenziali.
Per molte stoviglie in ceramica, questo dazio è attorno al 12%.
Quando si ritiene che un paese esporti a prezzi anormalmente bassi (dumping) e questa pratica danneggia i produttori europei, l’Unione può aggiungere un dazio antidumping, cioè un “sovrapprezzo” pensato per riportare i prezzi su livelli considerati corretti.
Oggi, sulle stoviglie in ceramica provenienti dalla Cina, l’UE applica:
dazio doganale normale (MFN) circa 12%
dazio antidumping attuale = 17,9%
Totale prima dell’IVA: circa 29,9% sul valore in dogana.
Questi dazi sono in vigore da anni, rinnovati più volte, per proteggere un’industria europea storica e importante: quella della ceramica da tavola.
Cosa sta cercando di fare la Commissione europea
Nel 2024, la federazione europea dei produttori di stoviglie in ceramica ha chiesto a Bruxelles di rivedere i dazi sostenendo che:
la Cina avrebbe aumentato ulteriormente la capacità produttiva;
il settore si sarebbe riorganizzato in grandi poli industriali in grado di produrre volumi enormi a costi molto bassi;
i prezzi all’esportazione verso l’Europa sarebbero scesi in modo non spiegabile solo con il mercato, ma anche con sussidi e distorsioni interne (energia, materie prime, credito, ecc.).
La Direzione Generale Commercio (DG Trade) ha aperto quindi il riesame R831 e, dopo un anno di istruttoria, ha inviato alle parti interessate un documento di comunicazione finale (disclosure) in cui:
conferma di ritenere ancora presente il dumping;
ritiene le misure attuali (17,9%) insufficienti;
propone di innalzare il dazio antidumping al 79%.
Questo 79% non si somma al 17,9%:
lo sostituirebbe integralmente.
Quindi, se la proposta venisse approvata, lo schema diventerebbe:
12% dazio normale
79% dazio antidumping
Totale dazi: 91% prima dell’IVA.
Tempistiche: quando potrebbe entrare in vigore il 79%?
La procedura ha una tempistica abbastanza precisa:
19 dicembre 2024
Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale UE dell’avviso di apertura del riesame intermedio R831.
Da qui decorrono i termini per presentare dati, questionari e osservazioni.
Luglio–novembre 2025
La Commissione analizza i dati forniti da esportatori cinesi, produttori europei, importatori, distributori.
Si svolgono audizioni, richieste di chiarimenti, scambi di documenti.
26 novembre 2025
La Commissione invia alle parti interessate la comunicazione finale (disclosure), con i calcoli dei nuovi margini di dumping e la proposta di dazio al 79%.
Alle parti viene assegnato un termine molto breve per replicare.
8 dicembre 2025
Scadenza per l’invio di osservazioni e opposizioni alla proposta (è entro questa data che lo Studio Pellegrini ha depositato, in nome e per conto del grande operatore europeo, una memoria difensiva molto articolata).
Fase attuale (dicembre 2025 – inizio 2026)
La Commissione esamina i commenti ricevuti;
valuta se confermare, modificare o attenuare la proposta;
consulta gli Stati membri nel comitato antidumping: qui si misura il consenso politico.
Decisione finale e pubblicazione
Sulla base delle informazioni circolate tra gli operatori (e delle lettere inviate dagli esportatori cinesi ai loro clienti europei), la decisione finale potrebbe essere adottata intorno a marzo 2026.
In genere il provvedimento è un Regolamento di esecuzione della Commissione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea – Serie L.
Entrata in vigore
Di regola, l’entrata in vigore decorre dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta.
Esempio pratico:
se il regolamento venisse pubblicato il 18 marzo 2026,
i nuovi dazi si applicherebbero alle importazioni registrate in dogana dal 19 marzo 2026.
È importante sottolineare che, fino a quel momento, continua ad applicarsi il dazio antidumping del 17,9%.
Quanto pesa davvero un dazio del 79%?
Facciamo un esempio molto concreto.
Immaginiamo di importare un set di piatti con valore CIF (costo + assicurazione + trasporto fino alla frontiera UE) pari a 100 euro.
Oggi (17,9% antidumping)
Dazio normale (12%) = 12 €
Dazio antidumping (17,9%) = 17,90 €
Totale dazi = 29,90 €
Base IVA = 100 + 29,90 = 129,90 €
IVA 22% circa 28,58 €
Costo complessivo in dogana ≈ 158,48 €
Scenario con 79% antidumping
Dazio normale (12%) = 12 €
Dazio antidumping (79%) = 79 €
Totale dazi = 91 €
Base IVA = 100 + 91 = 191 €
IVA 22% ≈ 42,02 €
Costo complessivo in dogana ≈ 233,02 €
Differenza netto-importatore per 100 € di merce:
Oggi: 158,48 €
Con 79%: 233,02 €
Aumento: +74,54 € su ogni 100 € di merce.
Chi pagherebbe il conto?
In teoria, i dazi li paga l’importatore.
In pratica, il costo viene:
in parte assorbito sui margini (fino a un certo punto),
in parte ribaltato sui prezzi dei prodotti venduti nei negozi.
Chi è davvero esposto?
I grandi operatori della distribuzione organizzata
Reti con centinaia di punti vendita, migliaia di dipendenti diretti e nell’indotto.
Margini unitari bassi, compensati dal volume.
Un dazio che passa dal 17,9% al 79% stravolge i conti economici:
alcuni prodotti diventano non più sostenibili;
certe linee di prodotto possono sparire dagli scaffali;
i punti vendita meno redditizi rischiano di chiudere.
La base occupazionale
Addetti ai punti vendita, logistica, magazzini, trasporti, servizi esternalizzati.
L’impatto non si esaurisce sulle importazioni: se un operatore riduce drasticamente i volumi, taglia ordini, chiude magazzini, rinvia investimenti.
Ciò significa meno lavoro, meno stabilità, meno sviluppo territoriale, soprattutto nelle aree dove i poli commerciali sono importanti per l’occupazione locale.
Le famiglie e i consumatori finali
Le stoviglie in ceramica e porcellana sono prodotti di uso quotidiano presenti in ogni cucina.
Un forte aumento dei prezzi colpisce in modo regressivo, chi ha redditi bassi risente maggiormente dell’aumento (ad esempio) di 2–3–5 euro sul singolo set di piatti.
Perché un grande operatore della distribuzione è sceso in campo
Il primario player europeo assistito dallo Studio Pellegrini è diventato parte attiva nella procedura R831 perché:
importa ogni anno volumi importanti di stoviglie dalla Cina,
rifornisce centinaia di punti vendita sul territorio,
dà lavoro a migliaia di persone tra diretti e indotto.
Nell’opposizione presentata alla Commissione:
si contestano nel merito i metodi di calcolo adottati;
si mette in evidenza la sproporzione di una aliquota al 79% in rapporto al danno effettivo;
si sottolinea l’assenza di una valutazione equilibrata dell’interesse dell’Unione, che deve includere non solo i produttori, ma anche:
importatori,
occupazione nella distribuzione,
consumatori.
Viene inoltre proposto alla Commissione di valutare soluzioni alternative, ad esempio:
impegni di prezzo (minimi garantiti) con i principali esportatori cinesi;
oppure un dazio più moderato (nell’ordine del 20–30%), che possa evitare gli effetti più distruttivi pur garantendo una tutela effettiva ai produttori europei.
La decisione finale, cosa possiamo aspettarci.
Al momento in cui si scrive, la partita è ancora aperta.
Le possibilità sono sostanzialmente tre:
Conferma piena del 79%
Scenario auspicato dall’industria ceramica europea.
Rischia però di scontrarsi con un forte dissenso politico di molti Stati membri e con un impatto pesante sui consumatori.
Mediazione
La Commissione, anche in considerazione delle osservazioni delle parti e del voto degli Stati, potrebbe abbassare l’aliquota o modulare la misura (per prodotti o aziende).
È la via del compromesso classico; tutela sì, ma con un peso più sostenibile per la filiera.
Ripensamento
In questo caso, la Commissione potrebbe rinviare o riformulare la proposta, o limitarsi a mantenere le misure esistenti.
Una vicenda che merita di essere seguita.
Il procedimento R831 non è solo una questione tecnica per addetti ai lavori, ma è una storia che riguarda:
la capacità delle istituzioni europee di bilanciare gli interessi dei diversi soggetti economici;
il tema, sempre attuale, di quanto protezionismo sia compatibile con una economia di mercato aperta e concorrenziale;
la tutela effettiva non solo di chi produce, ma anche di chi distribuisce, lavora nei negozi e fa la spesa tutti i giorni.
Come Studio legale, il ruolo è quello di portare davanti alla Commissione una voce diversa, concreta, radicata nell’economia reale, quella di un grande operatore europeo che chiede protezione sì, ma non a costo di aumentare il prezzo dei piatti sulle tavole delle famiglie e di mettere a rischio la propria base occupazionale.
La decisione definitiva è attesa nei prossimi mesi.
Sarà importante, a quel punto, non limitarsi a guardare la percentuale del dazio, ma valutarne l’impatto complessivo sul sistema Paese.
C’è poi un aspetto più ampio che merita una riflessione.
Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha criticato con forza la politica commerciale degli Stati Uniti, soprattutto durante l’Amministrazione Trump, accusandola di ricorrere ai dazi come strumento politico più che economico, con il rischio di alimentare tensioni protezionistiche e guerre commerciali. Bruxelles ha ripetuto più volte che i dazi devono essere proporzionati, motivanti, basati su dati verificabili e soprattutto compatibili con l’interesse complessivo della collettività.
Eppure, oggi, proprio l’Unione Europea si trova a discutere un provvedimento – il dazio antidumping al 79% sulle stoviglie in ceramica – che, nella percezione di molti operatori e di numerosi Stati membri, rischia di produrre quell’effetto domino che l’UE rimproverava agli Stati Uniti; un incremento tariffario talmente alto da sfiorare, nella sostanza, un quasi-divieto di importazione, con effetti distorsivi sul mercato e penalizzanti per i consumatori.
Se è vero che Bruxelles ha sempre rivendicato la propria diversità rispetto a Washington, è altrettanto vero che l’Europa ha la responsabilità, politica prima ancora che economica, di non scivolare nel protezionismo che critica, soprattutto quando il prezzo da pagare ricade su famiglie, lavoratori e imprese che non hanno alcun potere negoziale.
Esiste poi un’altra contraddizione che molti nella filiera distributiva non mancano di sottolineare, ossia mentre la Commissione propone dazi altissimi sulla merce importata regolarmente attraverso canali ufficiali, con controlli doganali e verifiche di conformità, non altrettanta energia viene impiegata per contrastare il “mercato parallelo” che prolifera sui social network e nelle piattaforme digitali.
Un mercato incontrollato, dove ogni giorno vengono venduti al pubblico prodotti, spesso identici o simili a quelli colpiti da dazio, a prezzi impossibili da sostenere da qualunque operatore che rispetti:
il dazio doganale,
le norme di sicurezza,
le certificazioni,
la tracciabilità,
la fiscalità ordinaria.
Il risultato è che il commercio regolare viene caricato di costi crescenti, mentre il commercio irregolare, sotto tracciato o occulto continua indisturbato a erodere quote di mercato, toglie lavoro alla filiera legale, e crea una concorrenza sleale che nessun dazio potrà mai compensare.
In questo quadro, molti operatori ritengono che la Commissione Europea – invece di puntare tutto sulla leva tariffaria – dovrebbe affiancare maggiormente gli Stati membri nel contrasto al mercato nero digitale; piattaforme social dove si vendono stoviglie, giocattoli, elettrodomestici e ogni genere di prodotti a prezzi che nessuna azienda seria potrebbe praticare rispettando norme, salari, tasse, certificazioni e contributi.
Il tema non è ideologico, ma profondamente pratico; chi rispetta le regole non può competere con chi non le rispetta, e un dazio del 79% rischia paradossalmente di colpire proprio gli operatori più rigorosi, mentre le vendite irregolari – esentate da ogni dazio e spesso da ogni imposta – continueranno ad aumentare indisturbate.